"Forse in questo, più che in ogni altro suo romanzo" scrive Orsola Nemi "la Deledda muta il paesaggio sardo in paesaggio biblico e vi fa nascere, fin dalle prime pagine, un'inquietudine di cose soprannaturali che scorre e luccica per l'intero tessuto della vicenda. Il protagonista, Efix, il vecchio servo delle dame Pintor, coltiva l'ultimo podere rimasto alle tre nobili discendenti di una famiglia in rovina: Ruth, Ester, Noemi; e vive in fantastica dimestichezza con i folletti, i giganti della montagna, i santi del cielo, i morti, vivi e veri per lui come le persone del presente. La nobile casa cade a pezzi, le dame Pintor vendono di nascosto le verdure e gli ortaggi ricavati dal poderetto; due di loro sono vecchie, dolci e solenni come immagini; Noemi invece, che serba ancora un resto di gioventù e di bellezza, è altera e dura...
La Deledda ha accettato in questo romanzo un coraggioso abbandono alla fantasia; perciò la vicenda è avvolta in un silenzio, in una penombra dove le parole portano il carico prezioso del mondo interiore, a cui tutte le apparenze alludono, e verso il quale ci avviano senza rivelarlo."